giovedì 13 dicembre 2018

DOPPIA PRIMA CASA? A VOLTE SI PUO’

DOPPIA PRIMA CASA?  A VOLTE SI PUO’
Quando l’attuale immobile diventa inidoneo a fini abitativi, si puo’ ottenere l’agevolazione di prima casa per un nuovo acquisto.
L’agevolazione “prima casa” consiste nel pagare l’imposta di registro al 2% - con il minimo di mille euro - anziché al 9%, quando si acquista da un privato o al 4%, anziché al 10%, quando si acquista da costruttore.
La Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 2565/2018 ha riconosciuto che chi sia già proprietario di una casa che è diventata inidonea ad essere abitata nello stesso comune dove è il nuovo immobile da acquistare, ha diritto all’agevolazione prima casa per il nuovo acquisto.
Un caso frequente nella pratica è quello della coppia che acquista in prima battuta un appartamento piccolo e, successivamente, quando questo diventa insufficiente in seguito alla nascita dei figli, decide di acquistare nello stesso comune un nuovo appartamento piu’ grande: 
se il primo appartamento resta in proprietà senza essere venduto, si puo’ nuovamente godere dei benefici fiscali?
Partiamo dalle condizioni fissate dalla legge per ottenere l’agevolazione fiscale “prima casa”:
1) abitazione classificata in una categoria catastale A diversa dalle categorie A/1, A/8 e A/9
2) residenza nel comune in cui si trova l’immobile da acquistare o impegno al trasferimento della residenza in quel comune entro diciotto mesi dall’acquisto
3) dichiarazione di non avere, anche in comproprietà con il coniuge, altra abitazione in proprietà, usufrutto, uso o abitazione già nello stesso comune e, se acquistata con agevolazioni prima casa, in proprietà, nuda proprietà, usufrutto, uso o abitazione anche in comproprietà con altri, nello stesso comune o in qualsiasi altro comune d’Italia.
E’ testuale, quindi, che la cosiddetta “prepossidenza” di una abitazione sia nello stesso comune in cui si vuole effettuare il nuovo acquisto pur se non acquistata godendo dell’agevolazione, sia anche in un comune diverso ma acquistata con l’ agevolazione, impedisce di chiedere l’agevolazione stessa.
Prima di passare alle interpretazioni della giurisprudenza e della Agenzia delle Entrate, va ricordato che la Legge Finanziaria del 2016 ha consentito di godere di un intervallo di tempo di un anno dall’acquisto con agevolazioni della nuova abitazione per disfarsi della vecchia acquistata già con l’agevolazione, mentre fino a quel momento era stato indispensabile arrivare al nuovo atto di acquisto dopo aver già alienato il vecchio immobile agevolato.
Fin qui le disposizioni di legge.
La legge non fa un espresso riferimento al concreto utilizzo, alla effettiva destinazione, dell’immobile già in proprietà e dell’immobile da acquistare, ma va considerato che la norma parla di casa “di abitazione”, il che viene inteso, come vedremo, che si tratti di immobile per esigenze abitative.
Va ricordato che per un breve periodo la normativa sulle agevolazioni “prima casa” riconosceva il beneficio fiscale a chi non avesse “altro fabbricato idoneo all’abitazione”. 
Difatti, il disposto del D.L. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 1, comma 1, convertito in legge 24/3/ 1993, n. 75, prevedeva che l’acquirente dovesse dichiarare “di non possedere altro fabbricato o porzioni di fabbricato idoneo ad abitazione”, e, poi, il D.L. 22/5/ 1993, n. 155, art.. 16, convertito in legge 19/7/1993, n. 243, ribadiva che l’acquirente dovesse dichiarare “di non possedere altro fabbricato o porzioni di fabbricato idoneo ad abitazione”.
Il riferimento espresso al requisito della idoneità ad abitazione è stato, tuttavia, eliminato – senza piu’ essere ripristinato - con la legge n. 549/1995, in vigore dal 10 gennaio 1996.
Attualmente il riferimento espresso alla destinazione ad abitazione principale – e, quindi, l’idoneità abitativa dell’immobile – è previsto testualmente soltanto nel caso di riacquisto nei cinque anni dopo aver alienato la precedente “prima casa”.
Vedremo come la giurisprudenza di legittimita’, benchè non fosse piu’ espressamente menzionato il requisito della “idoneita’” nella legislazione successiva, abbia per lo piu’ ritenuto irrilevante tale eliminazione.
Ha ritenuto, infatti, che la nozione di “casa di abitazione” presupponga il requisito della idoenità della casa a fini abitativi, cosicchè se la casa preposseduta, ovunque si trovi e pur se acquistata con la agevolazione, non è idonea, si puo’ ottenere – anche una seconda volta – l’agevolazione.
E’ interessante ricordare che anche la Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 203 del 22 giugno 2011, ha affermato che la sostituzione della espressione “fabbricato idoneo ad abitazione” con “casa di abitazione” va intesa nel senso che la prepossidenza di casa di categoria abitativa impedisce l’agevolazione per un nuovo acquisto solo se essa precedente casa sia già idone a soddisfare le esigenze abitative, sia casa “per” abitazione.
Già nel 2009 la Corte di Cassazione, interpretando la nozione di “casa di abitazione” come immobile “idoneo ad abitazione”, con la sentenza n. 18128 del 7 agosto 2009, ha valorizzato la esigenza abitativa.
Ha preso in considerazione la circostanza che l’immobile sia diventato nel tempo non piu’ oggettivamente idoneo a fini abitativi e ha così stabilito che non impedisce di ottenere l’agevolazione la prepossidenza di una casa diventata non piu’ idonea a tali fini.
In altri termini, la dimostrazione che la attuale abitazione non sia piu’ concretamente adatta a soddisfare le proprie esigenze abitative per le dimensioni o le caratteristiche complessive consente di godere – anche nuovamente – dell’agevolazione prima casa per il nuovo acquisto. 
Ma quando si puo’ ritenere l’abitazione inidonea e, quindi, ottenere le agevolazioni anche eventualmente una seconda volta?
E’ evidente quanto non sia affatto semplice valutare questa inidoneità a fini abitativi e quanto, in assenza di criteri prefissati, la discrezionalita' di giudizio porti ad atteggiamenti dell’Agenzia delle Entrate difformi tra loro e/o a decisioni delle Commissioni Tributarie parimenti difformi tra loro.
L’inidoneità puo’ essere, peraltro, oggettiva o soggettiva, cioè relativa alle condizioni dell’edificio o alla situazione personale del soggetto acquirente. Esempi di inidoneità di tipo soggettivo posso essere casi di abitazione a piano alto di stabile privo di ascensore e proprietario diventato anziano o disabile o comunque non piu’ autosufficiente, mentre un esempio di inidoneità di tipo oggettivo puo’ essere la sopravvenuta inagibilita’ dell’edificio o della singola unità abitativa.
Questa materia è caratterizzata da una continua evoluzione.
Appena un anno fa, l’ordinanza della Corte Cassazione n.14740/2017 aveva enunciato il principio secondo il quale non puo’ essere riconosciuto il beneficio di “prima casa” quando il vecchio immobile già acquistato con beneficio di prima casa non sia piu’ idoneo a soddisfare i concreti bisogni abitativi, reputando irrilevante la indicata concreta inidoneità, che in quel caso era soggettiva. 
Il ragionamento che la Corte aveva seguito in quel caso è stato che la legge, quando stabilisce che la prepossidenza di altra abitazione escluda l’ottenimento dell’agevolazione, non fa alcun riferimento all’utilizzo abitativo dell’immobile preposseduto. 
Con l’ordinanza n. 19989/2018 la Cassazione, smentendo la posizione precedentemente espressa, ha ritenuto invece rilevante l’inidoneità soggettiva con riferimento a u impedimento di natura giuridica: la locazione in corso dell’immobile preposseduto nel medesimo comune in cui si acquista. 
Ha riconosciuto la agevolazione “prima casa” anche per chi  abbia una casa che è inidonea in quanto condotta in locazione a terzi nello stesso comune in cui intende fare il nuovo acquisto.
L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 107 del 1° agosto 2017 ha riconosciuto la rilevanza della inidoneità a fini abitativi ed ha stabilito che, se per effetto di un evento sopravvenuto, si determina la inidoneità oggettiva all’utilizzo abitativo dell’immobile acquistato con l’agevolazione, il contribuente ha diritto a godere di nuovo dell’agevolazione per il suo nuovo acquisto. 
Il caso presentato all’attenzione della Agenzia Entrate ha riguardato una casa diventata inagibile a seguito del terremoto del 2016 e l’agevolazione è stata riconosciuta in ragione della inagibilita’ dichiarata dagli organi competenti. 
Anzi, è stato ulteriormente precisato che, anche nel caso in cui dovesse essere successivamente revocata la dichiarazione di inagibilita’, non si decadrà dal beneficio (ri)ottenuto perché al momento della sua richiesta erano effettivamente sussistenti tutte le condizioni richieste dalla legge per l’agevolazione.
In precedenza un’ altra ordinanza della Cassazione, la n.100 del giorno 8 gennaio 2010, aveva accolto il ricorso del contribuente, affermando che è coerente con la ratio della normativa di legge ritenere che la possidenza di altra abitazione che esclude l’agevolazione deve consistere nell’aversi la disponibilita’ di una casa idonea a fini abitativi. 
La Corte aveva escluso che vi fosse prepossidenza impediente e, quindi, riconosciuto l’agevolazione, in presenza di un immobile non concretamente idoneo “per dimensioni e caratteristiche complessive a sopperire ai bisogni abitativi della famiglia”. 
Si trattava in quel caso di un immobile con una assoluta inidoneita’ oggettiva a fini abitativi in quanto di piccolissime dimensioni.
Il giudizio sulla idoneità di una abitazione comporta valutazioni sulle caratteristiche dello stabile e sulle esigenze personali dell’acquirente e della propria famiglia, anche con riferimento alla mutata composizione del nucleo familiare.
L’inidoneità deve consistere di una inadeguatezza assoluta, mentre non è certamente sufficiente una mera “scomodità” dell’immobile. 
La Cassazione con la sentenza n. 2278/2016 ha, per esempio, negato l’agevolazione “prima casa” per un secondo immobile acquistato, confermando l’avviso di liquidazione dell’Agenzia delle Entrate, per il caso in cui il contribuente asseriva che l’inidoneità sopravvenuta della abitazione agevolata già posseduta dipendeva dalla presenza di due figli di sesso diverso costretti a convivere nella medesima camera, per mancanza di un altro vano disponibile.  
Ancora di recente, con la sentenza n. 20300 del 31 luglio 2018, la Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale l’idoneità abitativa dell’immobile preposseduto va valutata sia in senso oggettivo sia in senso soggettivo, ma ha limitato l’ammissibilita’ di tale valutazione ai fini dell’ottenimento della agevolazione solo al caso di immobile che si trovi nello stesso comune e sia stato acquistato senza godere di agevolazione. 
Cosicchè l’immobile, quando acquistato con le agevolazioni “prima casa”, anche se inidoneo, impedirebbe di goderne nuovamente.
Di recente, ancora, con l’ordinanza n. 18098 del 10 luglio 2018, la Cassazione, ribandendo la rilevanza della inidoneità sia oggettiva sia soggettiva, ha escluso la fruizione dell’agevolazione “prima casa” nel caso di prepossidenza di un immobile abitativo (quindi, non di categoria catastale A/10) anche se di fatto venga utilizzato come studio/ufficio.
La destinazione concretamente impressa al bene ad uso diverso da quello abitativo non vale ad escludere la natura di abitazione: non comporta, pertanto, inidoneita’ a fini “abitativi”, perché rileva in ogni caso la classificazione catastale – in quel caso come A/2, anche se si trattava di bene utilizzato come studio professionale. 
In osservanza del medesimo criterio, l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 19/2001 aveva a suo tempo chiarito che l'acquirente che sia gia' titolare di un immobile classificato in catasto in categoria A/10 (ufficio), ma di fatto adibito ad abitazione, puo’ ottenere l'agevolazione “prima casa” perché, appunto, non rileva l'utilizzo di fatto diverso dalla classificazione catastale. 
Nel caso in cui, pero’, si proceda proprio alla variazione (urbanistica e) catastale da abitazione a ufficio, il contribuente decade dalla agevolazione “prima casa” di cui aveva fruito, in quanto va non solo ad attuare un utilizzo diverso da quello che la legge intende agevolare, ma a produrre una modifica della categoria catastale (cfr. per es., tra le altre, Cass. n. 14173/2013). 
Emerge da tutto quanto passato in rassegna che il prevalente orientamento  della giurisprudenza di legittimita’ è nel senso di ritenere che, al di la’ del tenore letterale della legge, l’inidoneità abitativa – oggettiva o soggettiva - della casa preposseduta sia nello stesso comune non acquistata con l’agevolazione, sia acquistata con la agevolazione ovunque si trovi, consente l’accesso alla agevolazione prima casa.
Non sono mancate le pronunce contrarie, ma l’indirizzo appare delinearsi in via di consolidamento.

mercoledì 29 agosto 2018

Agevolazioni prima casa abitazione non idonea, lo sconto si allarga

Con la sentenza n.2565/2018 la Cassazione è intervenuta su un tema molto dibattuto: l’applicazione del bonus prima casa. Con tale pronuncia la Suprema Corte ha riconosciuto l’agevolazione anche a coloro che, pur già titolari di un precedente immobile, si trovano costretti per inidoneità del primo, ad acquistarne un secondo.
Come ricordato dal Sole 24 Ore, il Fisco agevola l’abitazione principale e l’acquisto della “prima casa” mediante uno sconto sulle tasse da pagare quando si stipula il rogito di compravendita. Ma ad alcune condizioni: non avere, in tutta Italia, la proprietà di un’altra casa acquistata con il beneficio fiscale e non avere la proprietà di un’altra abitazione nello stesso Comune. Ma cosa succede se la casa risulta “non idonea” ad essere abitata? Una questione scottante, che negli anni ha suscitato molteplici discussioni e che è stata più volte sotto i riflettori della giurisprudenza.
Adesso la sentenza n.2565/2018 sembra aver fatto chiarezza una volta per tutte. Con questa pronuncia, la Cassazione ha stabilito che se l’acquirente è titolare di un alloggio ritenuto “non idoneo” ad essere abitato può acquistare una seconda casa con l’agevolazione fiscale. Nel dettaglio, è stato specificato che la proprietà di un’abitazione nel medesimo Comune (non acquistata con l’agevolazione prima casa) non impedisce di effettuare un nuovo acquisto agevolato se si tratta di una casa non idonea a essere abitata.
La sentenza ha specificato che l’agevolazione è in ogni caso impedita a chi ha già la proprietà di una casa acquistata con il beneficio, a meno di non venderla prima del nuovo rogito d’acquisto o entro l’anno successivo; che la proprietà di una casa nel medesimo Comune (non acquistata con l’agevolazione prima casa) non impedisce di effettuare un nuovo acquisto agevolato se si tratta di un’abitazione non idonea a essere abitata; che questa inidoneità può essere sia di tipo soggettivo (relativa alla situazione personale del contribuente), sia di tipo oggettivo (relativa alle condizioni dell’edificio). Nell’ambito della inidoneità oggettiva rientra anche la “inidoneità giuridica”, che si verifica nel caso in cui il proprietario dell’abitazione non la può utilizzare in quanto concessa in affitto ad altri.
E’ bene ricordare che il bonus prima casa è un’agevolazione fiscale prevista per chi compra o riceve a titolo gratuito (donazione o testamento) un immobile da destinare a prima casa di abitazione.
Sugli atti di vendita immobiliare tra privati, l’aliquota dell’imposta di registro è del 2% (con il minimo di 1.000 euro) e le imposte ipotecaria e catastale si pagano nella misura fissa di 50,00 euro ciascuna.
Sugli atti di vendita immobiliare con aziende soggette a Iva, l’aliquota dell’Iva è del 4%, l’imposta di registro fissa è di 200,00 euro e le imposte ipotecaria e catastale si pagano nella misura fissa di 200,00 euro ciascuna;
Sui trasferimenti immobiliari gratuiti (donazioni o successioni testamentarie, le imposte sulle successioni e sulle donazioni sono in misura ordinaria, ma le imposte ipotecaria e catastale sono nella misura fissa di 200,00 euro ciascuna. Nei passaggi tra coniugi o tra ascendenti, l’aliquota dell’imposta di registro è del 4%, ma solo sul valore del bene che eccede 1 milione di euro (cosiddetta franchigia): se il bene vale 900mila euro non si pagano imposte mentre se vale 1.100.000 euro si paga il 4% di 100mila.
Dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2020, inoltre, è possibile applicare l’agevolazione prima casa (imposta di registro dell’1,5%) anche al momento dell’acquisto dell’immobile da concedere in leasing da parte della società di leasing, purché l’utilizzatore sia in possesso delle condizioni agevolative previste dalla legge.

venerdì 15 giugno 2018

Draghi (Bce) rompe gli indugi: stop al QE a fine anno, tassi stabili a lungo

Tassi fermi, il QE termina a fine anno

La Bce non tocca i tassi, che dunque come ampiamente previsto restano pari a 0% come tasso di riferimento, -0,40% sui depositi alla Bce, +0,25% sulle operazioni di rifinanziamento marginale, ma annuncia che il quantitative easing (QE), in scadenza a fine settembre, verrà sì prorogato di altri 3 mesi fino a fine anno, ma ad un ritmo ulteriormente rallentato da 30 a 15 miliardi di euro di acquisti di bond sul mercato al mese.

Bce continuerà a reinvestire bond in scadenza

Dal primo gennaio dell’anno prossimo gli acquisti si interromperanno, ma per un “esteso periodo di tempo” Eurotower continuerà a reinvestire i titoli in portafoglio in scadenza, tra cui i 356 miliardi di bond italiani che secondo un’analisi di Intesa Sanpaolo a quel punto l’istituto guidato da Mario Draghi si ritroverà in cassa, al fine di “mantenere favorevoli condizioni di liquidità e un elevato livello di accomodamento monetario”.

Nessun rialzo dei tassi per almeno 12 mesi, euro giù

Lo stesso Draghi ha anche precisato che i tassi sull'euro resteranno fermi almeno per i prossimi 12 mesi, dunque fino a tutta l’estate 2019, un dettaglio che indebolisce la valuta unica europea contro il dollaro (che invece sconta almeno altri 2 rialzi dei tassi entro fine anno dopo i due finora attuati, più altri quattro rialzi nel 2019), col cambio che scivola da 1,18 a 1,17.

Borse in ripresa, bond incerti

In ripresa le borse, perché secondo la Bce l’inflazione si sta muovendo verso l’obiettivo del 2%, scenario compatibile con una ulteriore espansione economica e dunque un incremento degli utili aziendali, mentre sul mercato obbligazionario rendimenti e spread tornano ad oscillare.

mercoledì 23 maggio 2018

Mercato casa: +4,9% nel 2017, nel 2018 ulteriore consolidamento della ripresa

La ripresa del mercato immobiliare delle abitazioni sembra essersi consolidata. Per il comparto è il quarto anno di fila con il segno più. Nel 2017 il numero di compravendite nel settore residenziale è cresciuto del 4,9% rispetto al 2016. Non si tratta del picco toccato due anni fa, quando è stato registrato un +18,6% di unità immobiliari compravendute, ma il trend è positivo. A dirlo il “Rapporto immobiliare residenziale 2018” realizzato dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate (Omi), in collaborazione con l’Associazione Bancaria Italiana (Abi).

Nel 2017 consolidamento della ripresa

A margine della presentazione del Rapporto, Gianni Guerrieri direttore centrale dell'Omise, ha spiegato: “Osservando il trend dal 2013 al 2017 quello che stona è quanto accaduto nel 2016, quando c’è stato un exploit di +18,6% non giustificato da fattori macroeconomici. Il fatto che rispetto a quel salto, notevolmente forte, anziché esserci stato un contro-balzo in negativo si è avuto un consolidamento – perché il +4,9% è rispetto al 2016, quando c’è stato un salto del +18,6% – è un risultato positivo. L’attenuazione dipende da tanti fattori, legati anche a un effetto statistico. E’ probabile, inoltre, che abbiano influito elementi come un’incertezza di fondo su quello che accadrà nel futuro”.

Un 2018 all’insegna di un ulteriore consolidamento

Allargando la visione a quello che potrebbe accadere nei prossimi mesi, il direttore centrale dell’Omise ha affermato: “E’ probabile che nel corso del 2018 si consolidi ulteriormente la ripresa, che c’è, con tassi di crescita più o meno come quelli visti nel 2017 e con prezzi che supereranno la soglia positiva, seppur sempre in condizioni di stazionarietà”.
Ma molto dipenderà dalle variabili esogene. “L’andamento e i cambiamenti del mercato immobiliare – ha sottolineato Guerrieri – dipendono quasi al 90% da fattori esogeni, cioè da quello che succede al resto dell’economia, ai tassi di interesse e quindi nel mercato del credito, ai redditi e all’occupazione delle famiglie, alle aspettative sul futuro delle famiglie. Queste variabili sono legate agli andamenti macroeconomici, a quello che succede a livello nazionale e internazionale, di conseguenza tutto ciò può influenzare drasticamente il mercato immobiliare”.

Prezzi delle abitazioni stabili

Intervenendo alla presentazione del Rapporto, Federico Polidoro, dirigente del Servizio Sistema Integrato sulle condizioni economiche e i prezzi al consumo dell’Istat, nell’illustrare cosa potrebbe accadere ai prezzi delle abitazioni nel 2018 – sottolineando che l’Istituto nazionale di statistica non fa previsioni, ma valutazioni sull’acquisto – ha spiegato che, in base ai dati dell’ultimo quadrimestre del 2017, se i prezzi non variassero più, l’anno in corso si chiuderebbe con un -0,1%. E’ questa la variazione dell’indice dei prezzi delle abitazioni che si potrebbe avere nel corso del 2018. E’ però necessario vedere cosa accadrà nei prossimi mesi.

L’impatto positivo delle agevolazioni fiscali sulla spesa per le ristrutturazioni

In merito poi all’impatto delle agevolazioni fiscali sul settore, Guerrieri ha evidenziato: “Sicuramente hanno avuto un impatto positivo sulla spesa per le ristrutturazioni. Dal momento che il patrimonio abitativo in Italia è abbastanza vecchio, normalmente quando una famiglia acquista un’abitazione ha necessità anche di fare una ristrutturazione. Sapere che ci sono delle agevolazioni che consentono di recuperare parte della spesa, anche se diluita nel tempo, è sicuramente qualcosa che invoglia le famiglie all’acquisto”.

I principali risultati del “Rapporto immobiliare residenziale 2018”

Nel dettaglio, il Rapporto ha evidenziato che nel corso del 2017 il mercato immobiliare residenziale ha registrato 542.480 transazioni, in aumento del 4,9% rispetto al 2016.
I rialzi più accentuati hanno interessato le aree del Nord Ovest (dove si concentra oltre un terzo del mercato nazionale) con un incremento del 5,3% e quelle del Sud, con un +5,8%. Una crescita minore ha, invece, caratterizzato l’area del Centro (+3,5%).
Si stima, inoltre, che nel 2017 siano stati spesi 89,6 miliardi di euro per gli acquisti di case in Italia, 3,5 miliardi in più rispetto al 2016. A livello nazionale la superficie media di un’abitazione compravenduta è stata di 105,8 m².

La situazione nelle regioni e nelle grandi città

A livello regionale, la Campania ha incrementato le compravendite di oltre 8 punti percentuali, seguita dalla Calabria, dalla Toscana e dalla Sardegna, dove il rialzo delle compravendite ha superato il 6%. Lievemente negativo, invece, il trend nell’Umbria e nelle Marche, dove si sono verificati importanti eventi sismici.
Tra le grandi città, i rialzi più elevati sono stati registrati a Milano (8,1%), Palermo (+7,9%), Firenze (+7,8%), Napoli (+7,4%) e Torino (+4,9%). A seguire Genova e Roma, cresciute rispettivamente del 3,3% e del 3%; mentre Bologna è stata l’unica, tra le grandi città, a chiudere il 2017 in calo (-3,3%).

La situazione dei mutui

Il “Rapporto immobiliare residenziale 2018” ha poi evidenziato che nel 2017 le abitazioni acquistate tramite mutuo ipotecario sono state 259.095, in crescita del 7,8%. Nelle aree del Nord e del Centro più della metà degli acquisti è avvenuto con l’ausilio del mutuo, mentre al Sud e nelle Isole si è ricorso al finanziamento ipotecario solo in 4 casi su 10.
Il capitale complessivo erogato ha toccato quota 32,7 miliardi di euro, circa 3 miliardi in più rispetto al 2016 (+9,1%). In media, per l’acquisto di un’abitazione sono stati erogati 126.000 euro (circa il 71% della spesa di acquisto).
Il tasso medio applicato dalle banche è rimasto sostanzialmente invariato (2,38%), come stabile è rimasta la durata media del mutuo, quasi 23 anni. I tassi medi sono risultati più elevati nelle regioni del Sud (2,59%) e nelle Isole (2,53%) e più bassi nelle aree del Nord (2,25% al Nord Est e 2,26% al Nord Ovest).

Le locazioni

Sul fronte delle locazioni, nel 2017 sono stati circa 1,7 milioni i nuovi contratti di locazione registrati presso l’Agenzia delle Entrate, per un totale di oltre 2 milioni di immobili. Complessivamente le abitazioni locate nel 2017 hanno rappresentato circa il 6% dello stock potenzialmente disponibile. La superficie media dell’abitazione locata è stata di circa 86 metri quadrati, con un canone annuo medio per unità di superficie pari a 65,4 €/m².

venerdì 18 maggio 2018

Come detrarre l'affitto di casa dal modello 730

Anche quest'anno si scaldano i motori per l'inizio della campagna per la dichiarazione dei redditi 2018 relativa all'anno di imposta 2017. Da lunedì 16 aprile sarà disponibile, infatti, il modello precompilato sul sito dell'Agenzia della Entrate. Sia che si opti per il modulo online che per quello tradizionale, è importante conoscere le spese detraibili e deducibili. Tra le prime ci sono i canoni di affitto corrisposti.
I contribuenti possono indicare le spese da portare in detrazione nel rigo E71-E72 del Modello 730/2017, dove, in primis, sarà necessario inserire i dati della locazione, degli inquilini e la tipologia contrattuale. Per quanto riguarda l'importo delle spese detraibil
  • Inquilini a basso redditto 
  1. Detrazione irpef di 300 euro per redditi non superiori a 15.493, 71 euro
  2. Detrazione irpef di 150 euro per redditi superiori a 15.493, 71 euro, ma inferiori a 30.987,41 euro
  • Lavoratore dipendente che trasferisce la sua residenza per motivi di lavoro
  1. Detrazione di 991,60 per redditi inferiori a 15.493, 71 euro
  2. Detrazione di 495, 80 euro per redditi superiori a 15.493, 71 euro, ma inferiori a 30.987,41 euro
Se nel corso del periodo di spettanza della detrazione il contribuente cessa di essere lavoratore dipendente, la detrazione non spetta a partire dal periodo d’imposta successivo a quello nel quale non sussiste più tale qualifica. Il lavoratore, inoltre, deve essere titolare di un contratto di locazione che può essere di qualunque tipo, di unità immobiliare adibita ad abitazione principale
  • Giovani tra 20 e 30 anni
  1. Detrazione di 961,60 euro per redditi complessivi fino a 14,493, 70 euro
Il requisito dell’età è soddisfatto se ricorre anche per una parte del periodo d’imposta. Così ad esempio se il giovane ha compiuto 30 anni nel corso del 2016, ha diritto a fruire della detrazione, nel rispetto degli altri requisiti, solo per tale periodo d’imposta
  • Inquilini di alloggi sociali (per il periodo d'imposta dal 2014 al 2017)
  1. Detrazione pari a 900 euro per redditi complessivi non superiori a 15.493, 71 euro
  2. Detrazione pari a 450 euro per redditi superiori a 15.493, 71 euro, ma non a 30.987,47 euro
  • Contratti a canone convenzionato
  1. Detrazione di 495,80 euro per redditi non superiori a 15.493,71 euro
  2. Detrazione di 247,90 euro per redditi superiori a 15.493, 71 euro, ma non a 30.987, 41 euro
  • Detrazione affitto studenti fuori sede - novità legge di bilancio 2018
In nessun caso la detrazione spetta per i contratti di locazione intervenuti tra enti pubblici e contraenti privati

martedì 1 maggio 2018

Ecobonus 2018

L’obiettivo dell’Ecobonus è quello di ridurre le emissioni di CO2 ed in generale gli sprechi energetici, per portare l’Italia in linea con gli obiettivi Europei del taglio del 20% delle emissioni entro il 2020.
Per i cittadini e le imprese però l’ecobonus è un vantaggio importante: prima di tutto mette in circolo nuove risorse per il settore edilizio che era stato in una crisi profonda, secondo permette effettivamente di ottenere nel breve termine risparmi interessanti sulla bolletta.
Con l’ecobonus 2018 si ottiene una detrazione fiscale del 65% per interventi come installazione di caldaie, impianti fotovoltaici, infissi e lavori di isolamento ed efficientamento, sia per immobili privati, aziende, attività commerciali o condomini.
In Cosa Consiste l’Ecobonus e cosa è cambiato dal bonus del 2017?
Il Bonus dà diritto a detrazione fino al 65% della spesa sostenuta sull’imposta sul reddito (IRPEF o IRES). La detrazione viene spalmata però nell’arco di 10 anni su un tetto massimo di spesa.
Proprio in questi dettagli però l’Ecobonus 2018 ha introdotto alcuni cambiamenti rispetto ai bonus precedenti, infatti la percentuale massima può variare in base al tipo di intervento realizzato così come variano i tetti di spesa, come vedremo più avanti in questo articolo
Quali interventi danno diritto al bonus 2018?
Come abbiamo già detto, in linea di massa qualsiasi intervento atto a migliorare l’efficienza energetica dell’abitazione può essere incluso nel bonus. Ecco una lista di interventi ammessi:
• Sostituzione di Infissi e Finestre
• Sostituzione Caldaie
• Lavori strutturali volti ad un migliore isolamento dell’edificio (esempio: cappotto termico, pavimenti, tetti…)
• Sostituzione impianti di riscaldamento
• Installazione pannelli solari
• Installazione impianti geotermici
Quali sono i tetti massimi di spesa e le percentuali?
Come già detto il bonus casa 2018 ha introdotto delle variazioni in base alla categoria di intervento, può variare il tetto massimo di spesa e la percentuale del 65% può fermarsi al 50% per la detrazione.
● Per la riqualificazione energetica massimo 100.000 euro: la riqualificazione energetica consiste in tutti gli interventi volti a migliorare l’efficienza energetica, come stabilito dall’Allegato A del D.M. 11/03/2008 riducendo del 20% il fabbisogno annuo.
● Interventi su pareti, finestre e infissi massimo 60.000 euro: sostituzione di infissi, porte, serramenti ma anche lavori di coibentazione.
● Pannelli solari massimo 60.000 euro.
● Impianti di climatizzazione invernale 30.000 euro: nei lavori di climatizzazione sono inclusi sostituzione impianti di riscaldamento, sostituzione caldaie, installazione impianti di geotermia e pompe di calore.
Le percentuali invece sono:
• 50% per Infissi e Schermature
• 50% per Caldaie a condensazione di Classe A senza sistemi di termoregolazione moderni
• 0% Caldaie non Classe A
Per tutti gli altri interventi la detrazione è al 65%
Chi può chiedere l’Ecobonus 2018?
Il bonus risparmio energetico può essere richiesto da privati ma anche da aziende, liberi professionisti, commercianti, artigiani, Associazioni di Professionisti, Enti Pubblici e Privati (che non svolgono attività commerciale) ed anche condomini (nel loro caso il lavoro di riqualificazione delle aree comuni, come i muri esterni, hanno diritto ad una detrazione del 75%).
Si ricorda, anche se dovrebbe essere superfluo, che il bonus vale solo per edifici già esistenti e non in costruzione. Si può essere residenti nell’immobile o meno e nel caso solo delle abitazioni le spese possono essere sostenute anche da familiari fino al terzo grado.
Cosa serve per chiedere la detrazione?
• Scheda Informativa degli Interventi (si può utilizzare una scheda prestampata e compilabile dal contribuente stesso)
• Certificazione Energetica dell’Edificio (non richiesta quando si tratta di infissi in una sola abitazione, pannelli solari, caldaie, pompe di calore o impianti geotermici)
• Attestazione di corrispondenza dei requisiti di legge con il lavoro realizzato, necessaria per infissi e sistemi di climatizzazione: può essere fornita dal produttore o da tecnico abilitato.
• Tracciabilità dei pagamenti e tutte le fatture, quando si tratta di titolari di reddito di impresa sono esenti dal pagamento mediante bonifico che per gli altri è indispensabile
La Certificazione Energetica insieme alla Scheda dei Lavori vanno inviate all’ENEA con modalità telematica entro 90 dal termine dei lavori.
I documenti sono poi da conservare per controlli eventuali dell’Agenzia delle Entrate, virtualmente per tutti gli anni nei quali si ha diritto alla detrazione.
• Fatture, ricevute
• Documentazione catastale/richiesta di accatastamento immobile o copia del modello F24 IMU
• Ricevuta dei pagamenti (solo bonifici per privati)
• Asseverazione del tecnico abilitato
• Copia della documentazione inviata all’ENEA con prova dell’invio avvenuto correttamente.
• Dichiarazione di consenso del proprietario per interventi realizzati dall’affittuario-usufruttario
• Copia della delibera dell’assemblea di condominio e tabella di ripartizione delle spese nel caso dei condomini.

giovedì 26 aprile 2018

Come funziona il mutuo liquidità?

Forse non tutti sanno che l’acquisto di un immobile non è l’unico motivo per il quale si può richiedere un mutuo alla banca. In molti casi, infatti, l’esigenza di ricevere un finanziamento nasce anche per altri motivi, come ad esempio la necessità di disporre di una certa quota di denaro liquido per coprire una spesa differente rispetto a quella dell’acquisto casa.
Il mutuo liquidità è una soluzione a metà tra il prestito e il mutuo normale e permette di ottenere una somma di denaro sostanziosa, superiore ai 30.000€ del prestito classico, grazie alla garanzia di un immobile del quale si è in possesso.
La banca che consente il finanziamento non richiede giustificazioni sull’impiego della somma ma, giustamente, non finanzia attività a rischio di fallimento o richiedenti con i debiti non estinti. Quindi, chi si è interessato al mutuo liquidità per uno dei due motivi appena citati è meglio che cambi subito strada e trovi un’alternativa.
Ma vediamo nel dettaglio come si richiede un mutuo liquidità, quali sono i requisiti e quant’è la cifra massima richiedibile.
Mutuo liquidità: quali sono i requisiti per richiederlo?
Oggi è sempre più raro trovare banche che concedono il mutuo liquidità. Questo perchè spesso le banche tendono a diffidare da chi richiede un’ingente somma di denaro non destinata all’acquisto di una casa: il ragionamento è semplice, se il richiedente non è in grado di risparmiare è ancora più in difficoltà a rimborsare il debito!
Tuttavia, per le banche che lo concedono ci sono una serie di requisiti da rispettare. Vediamo quali:
  1.  La casa di cui si è in possesso deve essere libero da ipoteche, in quanto rappresenta la garanzia per ottenere la liquidità. In questo caso la somma di denaro richiesta può arrivare fino al 70% del valore dell’immobile stesso, per una cifra massima di 500.000€
  2. La situazione patrimoniale del richiedente deve essere stabile e non deve trovarsi in controversie finanziarie. Il rischio di concedere un finanziamento a chi ha avuto problemi in passato potrebbe essere più alto in caso di cliente non puntuale.
  3. Il contratto di lavoro influenza la cifra concessa. Un lavoratore dipendente a tempo indeterminato può arrivare al 70% del LTV mentre un libero professionista o un imprenditore può ottenere fino al 50% del valore della casa.
  4. Età: essendo un mutuo che può durare anche molti anni l’età gioca un ruolo fondamentale. Il richiedente, al momento della domanda di credito, deve avere almeno 18 anni o non deve superare i 75 anni di età.
Vantaggi e svantaggi del mutuo liquidità
Iniziamo dai vantaggi del mutuo liquidità! Il primo fra tutti è il tasso di interesse che, in questo caso, è di gran lunga inferiore rispetto al prestito personale e dello 0,30% più basso rispetto al tasso del mutuo ipotecario. Altro vantaggio è rappresentato dalla durata delle rate che può arrivare a 40 anni, consentendo si poter pagare rate di importo inferiore rispetto al prestito che, invece, non può superare i 10 anni.
Anche la somma ottenibile cambia da liquidità a prestito. Mentre nel primo caso l’importo massimo richiedibile è di 30.000€, nel caso di liquidità l’importo dipende dal valore dell’immobile offerto come garanzia e dalla situazione finanziaria di chi richiede il credito.
Uno svantaggio invece è rappresentato dalle tempistiche di erogazione: se il prestito può essere concesso anche dopo un giorno dalla richiesta, il mutuo liquidità è più lento in quanto la banca deve avere il tempo necessario per verificare la situazione credito del richiedente. Anche le spese accessorie rappresentano uno svantaggio: nel prestito infatti non sono previste mentre nel mutuo sì.

venerdì 20 aprile 2018

Mutui più convenienti per acquistare casa di aprile 2018

Chi vuole acquistare casa accendendo un mutuo prima casa dovrà analizzare le offerte presenti sul mercato per vedere quali sono le migliori e più adatte alle proprie esigenze. Vediamo quali sono le proposte più convenienti di aprile 2018, sia che si opti per il tasso fisso che per il variabile secondo l'analisi di MutuiOnline.

Miglior mutuo a tasso fisso di aprile 2018

Wibiba-offre un mutuo a tasso fisso, senza spese di perizia e di istruttoria. Inclusa anche l'assicurazione incendio e scoppio. Il prestito è rivolto a clienti residenti in Italia da almeno tre anni e deve concludersi entro il 75º anno di età dei richiedenti.
Monte dei Paschi di Siena - Mutuo MPS Mio promozione con uno spread dello 0,10%. Con una rata fissa mensile di 359,21 euro. 

Miglior mutuo a tasso variabile di aprile 2018

Credem Banca - con una rata mensile di 293, 44 euro, con Tan dello 0,37% e taeg dello 0,67%.  Condizioni in promozione per i nuovi clienti fino al 31 maggio e per mutui stipulati entro il primo settembre 2018.
Intesa Sanpaolo - con Mutuo Domus Variabile, con uno sconto di tasso pari allo 0,75% per i mutui sottoscritti ad aprile. La rata mensile è di 302,62 euro al Tan dello 0,58% e taeg 0,76%

sabato 7 aprile 2018

Affitti, gettito record con la cedolare secca

Abbattere le aliquote fa bene al fisco, favorisce l'emersione dell'evasione e porta benefici soprattutto alla classe media.
La dimostrazione arriva ancora una vola dall'immobiliare e dai dati del fisco. Giorni fa il Sole 24 Ore ha fatto il punto su tutti i regimi fiscali agevolati. Quello che riguarda gli affitti è la famosa cedolare secca con aliquota Irpef al 21% sulle locazioni a canone libero e al 10% su quelli concordati.
Per sei anni di seguito il gettito della «flat tax» immobiliare è aumentato. Nel 2016 aveva raggiunto i 2,3 miliardi di euro, ma nel 2017 nelle casse dello Stato potrebbero arrivare 2,6 miliardi di euro. 
L'imponibile cresce di anno in anno. Nel 2016 12,9 miliardi di affitti pagati con l'aliquota ridotta. Cifra anche questa in costante crescita perché sempre più proprietari di immobili la scelgono, ma anche e soprattutto perché tanti che non pagavano le imposte hanno deciso di farlo proprio grazie al regime fiscale agevolato. In sostanza la cedolare fa emergere l'evasione fiscale. 
La crescita del gettito da cedolare, soprattutto a canone libero, è forte soprattutto nelle regioni del Sud, dove si registra un più alto tasso di evasione. A livello nazionale il gettito nel 2017 dovrebbe crescere dell'8% rispetto all'anno precedente. 
Il numero di proprietari che fanno ricorso alla cedolare è arrivato a due milioni. Il quotidiano economico rileva come sia la platea complessiva di potenziali contribuenti che ne hanno diritto.
Che non si tratti solo di contribuenti che prima pagavano le imposte senza agevolazioni lo dimostrano i dati ufficiali del Def sul gettito. Da quando è stata adottata la cedolare secca sugli affitti abitativi l'evasione tributaria (tax gap) è diminuita del 42% e la propensione all'inadempimento si è ridotta del 40%. Tra il 2010 ed il 2015 il tax gap è passato da 2,3 a 1,3 miliardi di euro.
Rispetto al 2015 il gettito da cedolare è aumentato ancora e non è difficile arrivare alla conclusione che l'evasione tra chi ha diritto all'aliquota agevolata (persone fisiche proprietari di immobili abitativo in locazione) sia praticamente azzerata. 
Un favore ai ricchi, secondo la vulgata. Nemmeno questo è vero, visto che il fisco ha diffuso anche i dati sul reddito dei proprietari che affittano un immobile abitativo con le agevolazioni. La metà rientra nella fascia tra i 20 e i 50mila euro di reddito all'anno. I redditi superiori a 75mila euro rappresentano solo il 10% dei contribuenti. 
I pregiudizi verso l'abbattimento delle aliquote sono duri a morire. Confedilizia vorrebbe che il prossimo governo se ne facesse carico. «I dati del Mef - commenta il presidente Giorgio Spaziani Testa - confermano che la cedolare secca sugli affitti è un successo da tutti i punti di vista. Il fatto che non sia stata ancora prevista per tutti le locazioni abitative (sono escluse quelle in cui proprietario è una persona giuridica) e per quelle di negozi e uffici è una colpa imperdonabile della politica».
Proprio ieri l'Istat ha diffuso i dati sulle compravendite. In leggero aumento, mentre i prezzi delle case sono ancora in calo rispetto all'anno scorso (-0,3% nel quarto trimestre 2017 rispetto al 2018). «Così si impoveriscono le famiglie. L'Italia è l'unico paese in cui accade», ha commentato Spaziani Testa.

giovedì 29 marzo 2018

Cedolare secca, per l’applicazione della riduzione nei canoni concordati è obbligatoria l’attestazione delle associazioni

Per ottenere la riduzione del 10% sulla cedolare secca in caso di stipula di contratto a canone concordato è obbligatorio per i contraenti acquisire l’attestazione delle associazioni di categoria, anche per poter dimostrare all’Agenzia delle Entrate, in caso di verifica fiscale, la correttezza delle deduzioni utilizzate. 
Il chiarimento arriva dalla Direzione Generale per la Condizione Abitativa - Divisione 4 - del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con la nota n. 0001380 del 6 febbraio 2018 e riguarda l’obbligo di attestazione per la corretta applicazione dell’Accordo Territoriale per i contratti a canone concordato non assistiti direttamente dalle Associazioni firmatarie, dal D.M. 16/01/2017 e presente negli Accordi Territoriali stipulati ai sensi dello stesso.

La nota ministeriale specifica che:
Per quanto concerne i profili fiscali va considerato che l’obbligatorietà dell’attestazione fonda i suoi presupposti sulla necessità di documentare alla Pubblica Amministrazione, sia a livello centrale che comunale, la sussistenza di tutti gli elementi utili ad accertare sia i contenuti dell’Accordo locale che i presupposti per accedere alle agevolazioni fiscali, sia statali che comunali.
Ne consegue l’obbligo per i contraenti di acquisire l’attestazione in argomento, anche per poter dimostrare all’Agenzia delle Entrate, in caso di verifica fiscale, la correttezza delle deduzioni utilizzate”.
L’interpretazione del Ministero appare piuttosto chiara ed esplicita: l’attestazione è obbligatoria. Cerchiamo quindi di fare una sintesi delle certezze che abbiamo in materia, anche alla luce di tale posizione:
- L’obbligo di attestazione vale solo nei Comuni ove sia stipulato un nuovo Accordo Territoriale ai sensi del D.M. 16/01/2017. In caso di Accordi precedenti, invece, tale obbligo non opera, salvo che nel caso (rarissimo) che sia l’Accordo stesso a prevederlo.
Le modalità di attestazione sono/saranno specificate dai singoli Accordi Territoriali stipulati ai sensi del D.M. 16/01/2017, che riportano/riporteranno in allegato il modello da sottoporre alle Associazioni firmatarie per la vidima. Gli Accordi dispongono/ disporranno altresì in merito al numero di Associazioni che dovranno rilasciare l’attestazione per ogni singolo contratto: il D.M. infatti dispone che a rilasciarla sia almeno una Associazione firmataria, ma alcuni Accordi già stipulati prevedono addirittura un’attestazione bilaterale (rilasciata da due Associazioni firmatarie, normalmente una per il conduttore e una per il locatore).
- Stando anche ai riscontri dei Comuni ove i nuovi Accordi sono stati stipulati, l’attestazione andrà presentata al Comune in sede di dichiarazione IMU, quindi al momento della richiesta dell’agevolazione, per ottenere la riduzione IMU spettante a questo tipo di contratti. Su questo aspetto, tuttavia, la procedura potrebbe variare da Comune a Comune.
- Per quanto riguarda l’Agenzia delle Entrate, invece, stando al parere fornito dal Ministero (e salvo successive specifiche in senso contrario) non appare necessario produrre l’attestazione in sede di dichiarazione dei redditi o, ancor meno, in sede di registrazione del contratto di locazione. L’attestazione andrà eventualmente prodotta qualora l’AdE effettuasse un accertamento circa la correttezza del contratto agevolato stipulato, “anche per poter dimostrare all’Agenzia delle Entrate, in caso di verifica fiscale, la correttezza delle deduzioni (o dell’aliquota cedolare agevolata, aggiungiamo noi) utilizzate”.
- Anche nei Comuni (es. Bologna) in cui l’Accordo Territoriale, pur applicando il D.M. 16/1/2017, pare esprimersi per una non obbligatorietà dell’attestazione, sarà bene d’ora in poi produrla, onde evitare che in sede di controllo la mancanza dell’attestazione venga contestata, in linea con la sopra esposta interpretazione del Ministero.

La questione della corretta applicazione degli Accordi Territoriali.


Il D.M. 16/01/2017 (art. 1 comma 8) ha introdotto un meccanismo non presente nel precedente D.M del 30/12/2002, finalizzato ad evitare abusi legati all’erronea applicazione dei parametri presenti negli Accordi Territoriali:
[..] Gli accordi definiscono, per i contratti non assistiti, le modalità di attestazione, da eseguirsi, sulla base degli elementi oggettivi dichiarati dalle parti contrattuali, a cura e con assunzione di responsabilità, da parte di almeno una organizzazione firmataria dell'accordo, della rispondenza del contenuto economico e normativo del contratto all'accordo stesso, anche con riguardo alle agevolazioni fiscali.
In seguito all’emanazione del sopra citato Decreto Ministeriale e man mano che gli Accordi Territoriali lo hanno reso applicabile sul territorio è sorto il dubbio circa l’obbligatorietà, asserita dalle Associazioni firmatarie, o la mera opportunità, auspicata dagli altri operatori del settore, di tale attestazione, non essendo ben chiaro il senso dell’espressione “da eseguirsi […] anche con riguardo alle agevolazioni fiscali”.
In sostanza, anche dopo la stipula dei primi Accordi Territoriali residuava un dubbio circa la sua funzione: obbligatoria al fine di ottenere l’agevolazione collegata al canone concordato (imposta sui redditi e IMU) oppure volta soltanto ad evitare che l’AdE o il Comune possano effettuare i controlli a campione sulla corretta applicazione dei parametri dell’Accordo Territoriale.
L’interpretazione del Ministero (in risposta ad un quesito posto da CONFABITARE) si colloca in questo contesto, e vale a dissipare ogni dubbio riguardo l’obbligatorietà dell’attestazione al fine del riconoscimento (o della mancata revoca) delle agevolazioni fiscali.

venerdì 12 gennaio 2018

Legge di Bilancio 2018, cedolare secca al 10%

Nella legge di Stabilità 2018 è contenuta la proroga anche per il biennio 2018-2019 della cedolare secca al 10% per gli affitti a canone concordato. Alle locazioni di mercato si applica invece l'aliquota standard del 21%.
La cedolare ridotta si applica, secondo quanto chiarito dall'Agenzia delle Entrate, ai "contratti di locazione che, oltre a essere riferiti a unità immobiliari ubicate nei comuni con carenze di disponibilità abitative (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia, nonché i comuni confinanti con gli stessi e gli altri comuni capoluogo di provincia) e negli altri comuni ad alta tensione abitativa individuati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), siano stipulati a canone concordato sulla base di appositi accordi tra le organizzazioni della proprietà edilizia e degli inquilini (articolo 9, comma 1, Dl 47/2014)".
Il contratto di locazione a canone concordato è caratterizzato da un canone calmierato, a differenza del canone libero che dipende dai prezzi di mercato. Tale tipologia può essere utilizzata per i contratti a uso abitativo, a uso transitorio e per gli studenti universitari. Riguarda le abitazioni di proprietà dei privati concesse in locazione a privati, studenti e cooperative/enti senza scopi di lucro.
Nel contratto di locazione a canone concordato il canone non può superare un tetto massimo stabilito da accordi territoriali tra le principali organizzazioni dei proprietari e degli inquilini. La durata del contratto di locazione a canone concordato può essere di 3 anni + 2 di rinnovo (o 3) per le abitazioni; di 6 mesi fino a 3 anni per gli studenti universitari; di 1 mese fino a 18 mesi per i contratti transitori.