lunedì 9 dicembre 2019

Agevolazioni prima casa anche sulla seconda


Duplicazione del bonus prima casa anche sulla seconda abitazione, senza dover vendere la prima: il caso dell’inidoneità e degli immobili comprati prima del 1993.
Sono due i casi in cui è possibile acquistare una seconda casa, senza bisogno di vendere la prima, usufruendo di nuovo delle agevolazioni fiscali previste dalla legge sulla “prima casa”. Ciò succede, innanzitutto, quando l’abitazione precedentemente posseduta sia divenuta, in relazione alle esigenze del contribuente, inidonea all’uso; si pensi al caso di un immobile pericolante a causa di un sisma o troppo stretto per le mutate esigenze della famiglia (magari per l’arrivo dei figli).
Il secondo caso si verifica quando la precedente abitazione è stata acquistata prima del 1993 da una ditta costruttrice; a chiarirlo è stata l’Agenzia delle Entrate con la risposta a un recente interpello [1].
Si tratta di due ipotesi che, pur non risultando in modo espresso dalla legge, sono state desunte in via interpretativa e, al momento, risultano pacifiche.
Cerchiamo di analizzarle più nel dettaglio e scopriamo quando è possibile ottenere le agevolazioni prima casa anche sulla seconda.

Agevolazioni fiscali sulla prima casa: condizioni

Il cosiddetto bonus prima casa costituisce la più interessante agevolazione fiscale per chi deve acquistare un’immobile. Esso comporta:
  • per le abitazioni acquistate da privato: uno sconto sull’imposta di registro che, dal 9%, scende al 2%. In più, l’imposta ipotecaria e catastale sono calcolate nella misura fissa di 50 euro l’una;
  • per le abitazioni acquistate da impresa: uno sconto sull’Iva che, dal 10% (22% se l’immobile è di lusso), passa al 4%. L’imposta ipotecaria e catastale ammontano a 200 euro l’una.
Non tutti, però, possono accedere al beneficio in commento. È necessario che ricorrano le seguenti condizioni:
  • la casa da acquistare non deve essere di lusso ossia accatastata nelle categorie A/8 e a/9;
  • il proprietario non deve avere una o più abitazioni nello stesso Comune ove si trova l’immobile da acquistare. In caso contrario, deve cedere il precedente bene (venderlo o donarlo) prima del nuovo acquisto;
  • il proprietario non deve avere altre abitazioni, in qualsiasi Comune italiano, acquistato in precedenza con lo stesso bonus prima casa. In caso contrario, deve cedere bene (venderlo o donarlo) entro 1 anno dalla firma del rogito della nuova casa;
  • il proprietario deve fissare la propria residenza nel Comune ove si trova la nuova abitazione (non necessariamente nella stessa via) entro 18 mesi dal rogito;
  • il proprietario si deve impegnare a non vendere la nuova casa per almeno 5 anni. Se lo fa, per non decadere dalle agevolazioni fiscali, deve acquistare entro l’anno successivo una nuova abitazione con le caratteristiche della “prima casa” appena elencate e fissarvi la propria residenza.

    Agevolazione fiscale prima casa sulla seconda casa

    Da quanto appena detto, risulta chiaro che, chi voglia usufruire una seconda volta del bonus prima casa deve:
    • cedere prima l’abitazione situata nello stesso Comune ove si trova quella da acquistare;
    • cedere, entro 1 anno dal rogito, l’abitazione ovunque situata in Italia, che è stata in precedenza acquistata con il bonus prima casa. Se non si rispetta l’impegno a vendere nel termine di un anno, scatta la decadenza dalle agevolazioni prima casa e, come conseguenza, saranno dovute le imposte nella misura ordinaria più i relativi interessi di mora e una sanzione pari al 30%. L’Agenzia delle Entrate ha inoltre chiarito [2] che la possibilità di usufruire delle agevolazioni prima casa, nell’ipotesi in cui l’acquirente già possiede un immobile comprato con gli stessi benefici, purché provveda ad alienarlo entro un anno, spetta anche nel caso in cui il nuovo acquisto sia soggetto ad Iva come, ad esempio, da una società di costruzioni.
    Tuttavia, come anticipato in apertura, in due sole ipotesi è possibile “sorvolare” su questa seconda condizione, potendosi così comprare una nuova abitazione senza per forza vendere o donare – entro 1 anno – quella già acquistata con le agevolazioni fiscali. Vediamo, quindi, come ottenere le agevolazioni prima casa anche sulla seconda.

    Prima casa inidonea

    Nel 2009, la Cassazione ha inaugurato un nuovo orientamento ritenendo possibile acquistare una seconda casa con il bonus prima casa, senza dover vendere la prima, quando quest’ultima diviene inidonea all’uso. Si può trattare di una inidoneità imputabile a circostanze oggettive, come nel caso di un terremoto che abbia reso l’edificio pericolante, o soggettive, come nel caso di allargamento della famiglia con nascita di ulteriori figli che renda indispensabile un appartamento più ampio [3] o, al contrario, di una casa troppo grande perché i ragazzi sono andati a vivere da soli.
    Potrebbe essere inidonea anche un’abitazione divenuta inaccessibile perché ubicata in un piano alto in un palazzo senza ascensore, a chi resti vittima di un incidente che ne comprometta la deambulazione o, magari, perché divenuto anziano e disabile. Inidonea potrebbe essere, infine, una casa posizionata in un luogo insalubre per il mutamento delle condizioni di salute del proprietario o che si renda inutilizzabile per la distanza dal suo luogo di studio o di lavoro. Infine, potrebbe essere inidonea la casa fatiscente o priva di impianti o servizi.
    A seguito di questo mutato indirizzo, anche l’Agenzia delle Entrate, che inizialmente era su posizioni più rigide [4], ha infine cambiato la propria interpretazione e, con una risoluzione approvata questa estate [5], si è adeguata al pensiero della Cassazione, sancendo che la proprietà di una casa divenuta oggettivamente inidonea ad essere abitata (ad esempio, a causa del terremoto) non impedisce al contribuente di comprarne un’altra, avvalendosi dell’agevolazione “prima casa”. Sicché, ora anche per l’amministrazione finanziaria è possibile comprare la seconda casa col bonus prima casa se il precedente immobile non più (più) essere abitato.

    Se la prima casa viene data in affitto

    Secondo la Cassazione [6], l’inidoneità della prima casa che consente l’acquisto di una seconda con le agevolazioni fiscali può derivare anche da un impedimento di natura giuridica come la presenza di diritti di terzi: un usufrutto, un contratto di locazione, ecc.
    Pertanto, se la prima casa viene data in affitto a terzi, il contribuente ne può acquistare un’altra da adibire a prima casa con l’agevolazione fiscale in questione. Questa tesi è, però, avversata dall’Agenzia delle Entrate [7] secondo cui non può avvalersi dell’agevolazione “prima casa” in sede di acquisto di un’abitazione chi abbia già la proprietà di un’altra casa nel medesimo Comune che sia concessa in locazione.

    Prima casa acquistata prima del 1993

    Il secondo e ultimo caso in cui è possibile ottenere l’agevolazione fiscale sulla seconda casa è quando la prima sia stata acquistata anteriormente al 1993 da ditta costruttrice. Per comprendere le ragioni di tale eccezione, bisogna fare un passo indietro e ricordare, in breve, l’evoluzione della normativa.
    Ci si è chiesto dunque se, nei casi in cui il primo immobile sia stato acquistato prima del 1993, e quindi con Iva al 4% non per merito delle agevolazioni, ma perché così previsto per tutti i contribuenti, sia necessario cedere tale abitazione precedente. La risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate è stata negativa.
    In conclusione, il contribuente che oggi compra un’abitazione, se già abbia la proprietà di un’altra abitazione acquistata da impresa costruttrice prima del 22 maggio 1993, può avvalersi dell’agevolazione “prima casa” in sede di nuovo acquisto, senza vendere l’abitazione già posseduta, qualora:
    • la casa acquistata prima del 22 maggio 1993 sia l’unica di sua proprietà nel Comune ove è ubicata la casa oggetto del nuovo acquisto;
    • non abbia, in tutto il territorio nazionale, la proprietà di un’ulteriore casa acquistata con l’agevolazione “prima casa”. Prima del 22 maggio 1993, infatti, l’aliquota Iva sull’acquisto della casa era sempre pari al 2%. Dal 1989, l’Iva è passata al 4% per chiunque, anche per chi acquistava la “prima casa”. Con il Dl 155/1993 tutto è cambiato: l’Iva al 4% è rimasta solo per chi acquistata la “prima casa”, mentre, negli altri casi, l’Iva è passata al 10%. 
    • [1] Agenzia Entrate risposta a interpello n. 377/2019del 10.09.2019.
      [2] Ag. Entrate Circolare n. 12 dell’8 aprile 2016.
      [3] Cass. ord. 14740/17 del 13.06.2017.
      [4] Ag. Entrate, Risoluzione n. 86/E del 20.08.2010
      [5] Ag. Entrate, Risoluzione n. 107/E del 1.08.2017.
      [6] Cass. sent. n. 19989/2018 del 27.07.2018. Sulla stessa scia Cass. sent. n. 2565/2018, 18128/2009 e 100/2010 (avallate da Corte Costituzionale n. 203/2011), Cass. sent. n. 3921/2014,  21289/2014, n. 2278/2016 e 27376/2017; Ctp Alessandria 22/2010; Ctp Matera 820/2011; Ctr Puglia 134/2013; Ctr Lombardia 2970/2014; Ctr Lombardia 4272/2015. In senso contrario: Cass. sent. n. 25646/2015, 25521/2016, 14740/2017, 19255/2017.
      [7] Ag. Entrate risposta a interpello n. 378/19 del 10.09.2019.

martedì 2 luglio 2019

Decreto crescita 2019, novità per l'immobiliare

Il dl crescita che ha avuto il via libera anche dal Senato contiene importanti misure per il real estate che riguardano, tra l'altro anche gli affitti brevi e le imposte sulla casa. Vediamo quali sono le principali novità del decreto fiscale 2019 per l'immobiliare

Conferma opzione della cedolare secca 
Cancellata la norma che prevede sanzioni per chi dimentica di confermare l'opzione per la cedolare secca sugli affitti al momento della proroga del contratto.

Codice identificativo affitti brevi  

Ogni struttura destinata alla locazione breve dovrà avere un codice identificativo che dovrà essere usata per "ogni comunicazione inerente all'offerta e alla promozione dei servizi all'utenza". Lo stesso codice dovrà essere usato anche dai gestori di portali internet e dagli agenti immobiliari. Sanzioni da 500 a 5mila euro per chi non si adegua.

Comunicazione dati inquilini alle Entrate

I dati sugli inquilini degli affitti brevi comunicati dai locatori alla Polizia di Stato verranno a sua volta comunicati (in forma anonima e aggregata per struttura) all'Agenzia delle Entrate per verificare il pagamento delle imposte. 

Imposte canoni non riscossi

Per i contratti stipulati a partire dal 1º gennaio 2020 il decreto crescita prevede la possibilità di non versare le imposte sui canoni non riscossi se la mancata percezione sia provata da "intimazione di sfratto per morosità o ingiunzione di pagamento".

Scadenza dichiarazione IMU

 La scadenza per la dichiarazione IMU ora fissata per il 30 giugno viene spostata al 31 dicembre dell'anno successivo a quello cui si riferiscono i dati da comunicare. 

Dichiarazione IMU canone concordato e comodato d'uso

Viene eliminato l'obbligo di dichiarazione IMU per le case concesse in comodato d'uso (rimane l'obbligo di registrazione alle Entrate). Eliminato anche l'obbligo per le case affittate a canone concordato. In questo ultimo caso viene anche elimato l'obbligo di "qualsiasi altro onere di dichiarazione e comunicazione" voluto dai Comuni. Rimane invece l'obbligo di "bollinatura" per i contratti stipulati senza l'assistenza delle associazioni di categoria.

IMU fabbricati rurali strumentali

L'IMU sugli immobili strumentali diventa deducibile dal reddito d'impresa a partire dal 2023. Fino ad allora crescerà la percentuale di deduzione: 50% per l'IMU 2019, 60% per il 2020 e 2021 e 70% nel 2022.

Ecobonus scontato in fattura

Il contribuente che effettua lavori di efficientamento energetico del proprio edificio o di riduzione del rischio sismico ha la possibilità di ricevere invece della detrazione un contributo anticipato dal fornitore che ha effettuato l'intervento, sotto forma di sconto sul corrispetivo spettante. Il fornitore può recuperare il contributo sotto forma di credito d'imposta o può cedere a sua volta il credito ai propri fornitori di beni e servizi.

venerdì 10 maggio 2019

Aste immobiliari, il decreto legge Bramini tutelerà tutti i debitori

Le tutele previste dal decreto legge Bramini potrebbero essere estese a tutti i tipi di debitori, non solo a coloro che lo sono per colpa della pubblica amministrazione.
Alla fine del 2018 è stato approvato il cosiddetto decreto legge Bramini all’interno del decreto semplificazioni. Il decreto (135/2018), in origine, tutelava coloro che avessero debiti nei confronti delle banche, ma non riuscissero a saldarli per colpa di crediti non incassati dalla pubblica amministrazione. La norma, che riscrive l’articolo 560 del codice civile in materia di pignoramento e diritto ad abitare la casa pignorata,prende il nome dall’imprenditore Sergio Bramini, caso emblematico di debitore che si è visto pignorare e mettere all’asta i propri immobili pur vantando crediti verso la pubblica amministrazione, colpevolmente ritardataria nei pagamenti.
La riscrittura dell’articolo 560 del codice civile prevede una maggior tutela del diritto del debitore a restare nella casa pignorata. Il momento dello sgombero viene infatti differito a 90 giorni dopo l’emissione del definitivo decreto di trasferimento dell’immobile ad un altro acquirente, che abbia acquistato la casa pignorata ad un’asta fallimentare.
Tale tutela, secondo la modifica alla legge di conversione del decreto semplificazioniapprovata in Senato lo scorso 29 gennaio e all’esame alla Camera, verrà estesa non solo ai debitori che vantano debiti nei confronti delle Pa, ma a tutti i tipi di debitori. Ad alcune condizioni: il debitore deve conservare integro il bene; deve abitare personalmente nell’immobile, quindi non può darlo in locazione o uso ad altri; deve consentire la visita a potenziali acquirenti.
Il rilascio dell'immobile viene decretato quindi in due casi: quando il debitore contravviene agli obblighi di cui sopra e quando il processo segue il proprio naturale corso (quindi, 90 giorni dopo il decreto di trasferimento emesso dal giudice). In altre parole, un eventuale acquirente dell’immobile in asta dovrà attendere 90 giorni dopo il decreto del tribunale per poter prendere possesso del suo acquisto. Il lasso di tempo garantisce una maggiore tranquillità al debitore, che potrebbe nel frattempo sanare la propria situazione. D’altro canto, ciò potrebbe costituire una difficoltà al reperire acquirenti che siano interessati ad acquistare un immobile gravato da tale condizione, anche in vista della stipula di un mutuo per l’acquisto dell'immobile pignorato. Difficilmente concedibile se l’immobile oggetto dell’ipoteca è un immobile del cui possesso non si ha certezza.

martedì 26 febbraio 2019

Contratto transitorio e divieto di residenza: tutto vero?

Un errore frequente

Di recente abbiamo affrontato alcuni dei principali luoghi comuni disseminati nel settore della locazione (clicca quiper un esempio).
Con questo articolo intendiamo chiudere (per il momento) la serie scardinando la seguente certezza, che molti proprietari mostrano al momento di affittare il loro immobile per brevi periodi: al conduttore sarà vietato stabilire la residenza all’interno dell’immobile perché una simile situazione sarebbe incompatibile con la natura transitoria del contratto di locazione.
Ma da dove deriva questa (erronea, diciamolo subito) convinzione? Probabilmente il proprietario sa che il transitorio nasce per soddisfare esigenze non stabili e ritiene che la residenza anagrafica nell’immobile vada contro tale funzione del contratto, mettendone a rischio il fondamento e generando il rischio di trasformazione dello stesso in 4+4.
Oppure, semplicemente, il proprietario ha letto qualcosa del genere da qualche parte, traendone una simile conclusione.
In ogni caso, una simile certezza non ha alcuna base e di seguito individueremo gli elementi per confutarla.

La normativa


Anzitutto in nessun passaggio normativo (art. 5 L. 431/98 o Decreti Ministeriali che regolano la materia, in particolare 30/12/2002 e 16/1/2017, oltre che qualsiasi Accordo Territoriale locale) viene posta la condizione, perché il contratto transitorio sia regolare, che il conduttore non prenda la residenza nell’immobile.
Stabilire liberamente la propria residenza (in presenza di un titolo) è un diritto del conduttore e la possibilità di farlo nel caso specifico la ricaviamo dal fatto, appunto, che non c’è alcun divieto di legge. In altri termini, non è necessario che la legge dia la possibilità di compiere un’azione affinché si possa ritenere che la stessa azione sia lecita.
La residenza inoltre si identifica nel luogo in cui la persona ha la sua abituale dimora in un certo momento, e non per un periodo di tempo prefissato. Non ha pertanto alcun senso ritenere che solo in presenza di un contratto residenziale “lungo” (un 4+4 o un 3+2) sia facoltà del conduttore stabilire la residenza nell’immobile locato.
In altre parole:
1) La residenza dovrebbe (quindi non rappresenterebbe nemmeno una scelta, stando alla normativa anagrafica) coincidere con la dimora del soggetto;
2) il conduttore potrebbe stabilire la sua residenza temporaneamente nell’immobile per i mesi di conduzione, senza che ciò faccia venir meno le esigenze di transitorietà addotte;
3) nessun rischio di trasformazione del contratto, in presenza di tali esigenze.

I veri fattori che determinano la trasformazione del contratto


Ma quindi il locatore non avrebbe davvero alcun motivo di temere la trasformazione del contratto da transitorio a 4+4 nel caso il conduttore stabilisca la residenza nell’immobile?
Proprio così. La trasformazione del contratto transitorio in 4+4, in realtà, deriva dal venir meno delle esigenze di transitorietà e non dalle scelte di tipo “anagrafico” del cliente.
Per evitare tale trasformazione, quindi, non è necessario selezionare il conduttore sulla base della sua volontà di stabilire o meno la residenza nell’immobile, mentre sarà decisivo valutare (e documentare) la presenza di un’esigenza di transitorietà tra quelle contemplate dall’Accordo Territoriale applicabile. Sarà la mancanza di una tale esigenza fin dall’inizio o il suo venir meno in corso di contratto a generare la conseguenza di una “trasformabilità” del contratto.

Conclusioni

Alla luce di quanto sopra non avranno senso eventuali clausole (peraltro di nessuna efficacia) inserite in contratto e volte a negare al conduttore la facoltà di richiedere la residenza nell’immobile.
In ogni caso il conduttore avrà pieno diritto di chiedere la residenza e nessuna clausola contrattuale potrà impedirglielo, essendo la residenza un fattore che riguarda il rapporto tra cittadino e Anagrafe, che pertanto non può essere regolato da pattuizioni contrattuali tra locatore e conduttore.
Non avrà senso, a maggior ragione, selezionare il conduttore per un contratto transitorio sulla base della sua volontà o meno di stabilire la residenza presso l'immobile preso in locazione.
A nulla servirà, infine, ricorrere ad altri espedienti quali ad esempio la mancata voltura delle utenze al conduttore, per dimostrare la “precarietà” della sua permanenza.
E’ bene, in definitiva, che nel premurarsi che sussistano tutti i presupposti per un contratto transitorio il locatore concentri la sua attenzione molto più sull’effettiva presenza di una reale esigenza di transitorietà (elemento cardine di questo tipo di contratto) che su altri fattori di nessuna reale rilevanza (quale, appunto, la residenza del conduttore).

lunedì 7 gennaio 2019

Imu e Tasi, rischio rincari nel 2019

Sbloccata la leva fiscale per i Comuni. Gli enti locali potranno aumentare le aliquote Imu e Tasi. Lo sblocco degli aumenti dei tributi locali potrebbe riguardare circa l’80% dei Comuni. Ad essere interessati i proprietari di seconde case, negozi e attività ricettive.
In merito, il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, ha parlato di una scelta disarmante. E ha sottolineato il fatto che lo sblocco delle aliquote Imu e Tasi può avere ricadute negative sul piano sociale, dal momento che più a rischio sono le abitazioni locate a canone concordato, che scontano aliquote relativamente più basse.
Il blocco delle aliquote sulle imposte locali è arrivato con la legge di Bilancio 2016, che ha impedito a Comuni e Regioni di aumentare tributi e addizionali rispetto ai livelli del 2015. Tale blocco è stato prorogato fino al 31 dicembre 2018, ma con la legge di Bilancio 2019 non ci sono state proroghe. Cosa succederà adesso?
Ad aumentare i tributi locali potrebbero essere soprattutto i Comuni piccoli e medi del Nord, dove lo stop all’aumento delle aliquote è arrivato quando esse erano lontane dai massimi. Situazione diversa al Sud e nelle grandi città. In questi casi, infatti, già si paga il massimo.
In particolare, al Sud i Sindaci hanno sfruttato al massimo il fisco per fronteggiare la situazione critica dei conti; mentre nelle grandi città come Milano, Torino e Roma le aliquote sono già state portate ai livelli massimi.
Si ricorda che le aliquote sono diverse da Comune a Comune e possono variare per l’Imu da un minimo del 4,6 per mille a un massimo del 10,6 per mille; per la Tasi fino a un massimo del 2,5 per mille, alcuni Comuni possono applicare una maggiorazione dello 0,8 per mille. La somma delle aliquote Imu e Tasi non può superare il 10,6 per mille, l’11,4 per mille in caso di applicazione della maggiorazione dello 0,8 per mille.