Un’importante sentenza della Corte Costituzionale riafferma il diritto all’esenzione IMU per ciascuna abitazione principale delle persone sposate o in unione civile laddove i coniugi risiedano o abbiano abituale dimora in immobili diversi, sia che essi siano collocati in differenti Comuni sia che essi siano ubicati nel medesimo comune. In questi anni, forti di norme che limitavano questo diritto e facevano leva sul concetto di “nucleo famigliare” inteso in modo restrittivo, molti comuni hanno richiesto il pagamento dell’IMU (e, nel caso, di arretrati risalenti a molti anni addietro) a coloro che erano incorsi in questa condizione. La Sentenza in oggetto (n. 109) risolve drasticamente la questione dichiarando illegittimo l’articolo 13, comma 2, quarto periodo, del decreto-legge n. 201/2011 là dove parlando di «nucleo familiare» finisce per penalizzarlo, in contrasto con gli articoli 3, 31 e 53 della Costituzione. L’illegittimità è stata estesa anche ad altre norme, in particolare a quelle che, per i componenti del nucleo familiare, limitano l’esenzione ad uno solo degli immobili siti nel medesimo comune (quinto periodo del comma 2 dell’articolo 13, Dl 201/2011) e che prevedono che essi optino per una sola agevolazione quando hanno residenze e dimore abituali diverse (comma 741, lettera b) della legge n. 160 del 2019, come modificato dall’articolo 5-decies del Dl 146/2021). Quest’ultima norma, ha precisato la Corte, è stata introdotta dal legislatore per reagire all’orientamento della giurisprudenza di legittimità: la Cassazione è infatti giunta «a negare ogni esenzione sull’abitazione principale se un componente del nucleo familiare risiede in un comune diverso da quello del possessore dell’immobile». “Nel nostro ordinamento costituzionale non possono trovare cittadinanza misure fiscali strutturate in modo da penalizzare coloro che, così formalizzando il proprio rapporto, decidono di unirsi in matrimonio o di costituire una unione civile». È quanto si legge nella sentenza che sottolinea come diversamente si creerebbe una disparità con coloro che scelgono di non unirsi in matrimonio o in unione civile. La Sentenza precisa inoltre che in «un contesto come quello attuale», «caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unione civile concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale». La Corte ha dunque ristabilito il diritto all’esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone sposate o in unione civile e però ha ritenuto «opportuno chiarire» che le dichiarazioni di illegittimità costituzionale non determinano, in alcun modo, una situazione in cui le cosiddette “seconde case” ne possano usufruire. Da questo punto di vista, le dichiarazioni di illegittimità costituzionale mirano a responsabilizzare «i comuni e le altre autorità preposte ad effettuare adeguati controlli», controlli che «la legislazione vigente consente in termini senz’altro efficaci». Esprimiamo la nostra soddisfazione per questa importante Sentenza che definisce una volta per tutte una questione assai controversa; la Corte afferma in modo limpido un diritto finora ampiamente contestato che viene finalmente ristabilito
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